martes, 5 de octubre de 2010

Nueva crítica internacional de Xenocide - METALLIZED (ITA)

Valutare il valore e l'efficacia di un album thrash metal non dovrebbe essere poi così difficile. Provate a chiudere in una stanza il prototipo del thrasher per antonomasia, quello con immancabile t-shirt, smanicato in jeans sommerso di toppe e borchie qua e là, in una stanza dotata di stereo, nel quale farete suonare il disco in questione: se il losco figuro dovesse iniziare a dare di matto, dimenarsi, scuotere la testa e pogare contro il muro avrete la certezza che quel disco è un prodotto con gli attributi. L'impatto del riffing e della ritmica è infatti fondamentale, e la prima reazione dell'headbanger-cavia sarà abbastanza significativa e veritiera per valutare con positività l'oggetto del quesito. Se poi l'esemplare di thraser -specie che ha sfiorato l'estinzione nel corso dei disgraziatissimi nineties ma recentemente in via di ripopolamento- dovesse continuare a imbizzarrirsi dietro quella scorazzata di trame nevrotiche e veloci, ignorando persino il boccale di birra che per dovizia d'esperimento gli sventolerete davanti come test definitivo, allora potrete star certi che quel dischetto che gira nello stereo ha il tiro giusto per far 'ballare' il più nostalgico dei metalhead. (Auto)ironia a parte, possiamo dire che la mission degli Steelgar sia pienamente riuscita: rinverdire l'epopea dello speed'n'thrash, genere già eccellentemente riesumato da una vigorosa infornata di nuove leve. Arrivano dalla Spagna, paese non particolarmente avvezzo a questa tipologia di sonorità, ma dopo due demo nei loro primi quattro anni di attvità gli Steelgar sono pronti a infuocare i moshpit cuoioborchiati dei thrashers più esigenti col loro debut, Xenocide. Sotto il sole della caliente Catalogna, sospinto dall'ardente passionalità mediterranea, arriva l'arrembante, masturbatorio e bollente riffing stoppato tipico del Bay Area style: sembra di essere a San Francisco, e invece siamo in Spagna. Vocals aggressive ed elettrizzanti, proprio come ci hanno tramandato le leggendarie band californiane, melodie folgoranti, assoli trepidanti, velocità tradotta in puro godimento: il paradiso dei thrashers old style, è evidente. Altrettanto evidente è la collocazione di rilievo che gli Steelgar vanno a guadagnarsi nel panorama rinascimentale del caro vecchio thrash, un genere in stato di grazia come non succedeva dagli anni '80 e che sta sfornando album e dischi considerevoli con la stessa frenesia con la quale vengono mitragliati quei riff taglienti a velocità martellante. Apre la sassaiola Injected, biglietto da visita di un sound costruito attorno a contorcenti e prolungate sezioni strumentali, letali, rapide; è tra i pezzi migliori del lotto, l'opener, seguita da Retaliator in un'incessante pioggia di riffs secchi ripetuti fino al delirio. L'esaltazione corre a mille allora, le chitarre ruggenti spingono a testa bassa esplodendo in accelerazioni da capogiro, gonfiate a mille dal drumming infallibile e martellante scandito dietro le pelli da Cristian Zamorano; eppure il thrash essenziale e adrenalinico classicissimo proposto dal quartetto subisce anche un'evoluzione a partire dalla terza traccia, Portrait in Blood, arricchendosi di sfumature più variegate e meno irruente (anche nelle vocals, qui maggiormente melodiche) pur supportate dalla fluidità del sempre valido assolo: non mancano urticanti ripartenze contraddistinte dal tipico rifferrama spezzettato, ma l'accostamento più istintivo pare essere, per certi tratti, quello con i tecnici Megadeth prim'anzi che con ogni altra formazione californiana dedita a sound grezzi e seminali. Dei dieci pezzi in scaletta nessuno appare statico ed 'incollato' ad un canovaccio troppo rigido di riff mordi-e-fuggi, anzi proprio in Portrait in Blood e nella successiva Riders of the Sand emerge una piacevole tendenza ad incastonare, tra fughe letali e acuminate sfuriate, partiture più ragionate, sia strumentali che vocali. Promontory ricollega il sound generale ad un riffing da urlo, anche se i solos di chitarra affidati all'ascia di Isaac Iborra risultano essere più melodici e meno dotati del tiro killer che avvolgeva quelli di celebri precursori quali Exodus e primissimi Metallica. Sicuramente va citato, tra gli episodi più riusciti del platter, l'impatto strepitoso di Hunter on Prowl, che si districa con sana goduria tra riffoni e assoli brevi sostenuti da un drumwork incessante ed ipnotico, meraviglioso. I rintocchi di campana creano atmosfera, la conclusiva Army of Goats rappresenta il debordante attacco finale: nel mezzo, un brano come Under the Whip ornato di deliziosa parte strumentale melodica e malinconica, travolgente ripartenza accelerata e corsa sfrenata tra un fiume di note, sempre a ritmi battenti. Gli Steelgar si distinguono per l'egregio lavoro nell'intessere lunghe e ampie parti strumentali melodiche a fronte di violente sfuriate di thrash metal ottantiano. Probabilmente non inventano nulla di nuovo, anzi, il loro punto di forza è proprio il saper riproporre con autenticità e genuinità l'intramontabile Eighties-sound. Album eccellente e gradevolissimo, forse privo del ritornello o del riff capace di stamparsi in testa per lungo tempo, ma capace di coinvolgere e piacere fin dal primo ascolto per il suo taglio fresco, energico, old school, al tempo stesso diretto, urticante ma arrangiato con perizia tecnica e polidimensionalità strutturale discreta, cosa per nulla scontata in ambito thrash. La proposta musicale è valida, abbastanza anche da permettere di perdonare i nostri per il simpatico caprone piazzato in copertina...

Rino Gissi "The Thrasher"

70/100